Simona Apolito - Policlinico Umberto I - Simona Apolito

psicoterapeuta
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Policlinico Umberto I - Roma
Dipartimento dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

Presso la U.O.C. dei Disturbi del Comportamento Alimentare del Policlinico Umberto I di Roma, diretta dal prof. C. Loriedo, mi sono occupata delle pazienti ricoverate in reparto (c’è anche un ambulatorio e un day hospital). In particolare ho gestito un lavoro di gruppo, con cadenza bi-settimanale, con le ragazze ricoverate.
Ho presentato un lavoro su questa esperienza al IX Congresso Internazionale SII che si è svolto ad  Orvieto il 26-30 maggio 2015, dal titolo: “Il corpo negato: esperienza di gruppo con pazienti con DCA trattate con la terapia ericksoniana”.
Si è trattato di organizzare lavori di gruppo con pazienti con disturbi alimentari, anoressia e bulimia in particolare, in un contesto ospedaliero.
In tutto le pazienti, solo donne, erano 10, ma non sempre erano tutte disponibili per il gruppo, per vari motivi: le più piccole avevano le ore di scuola, alcune dovevano seguire una terapia endovena, altre erano in ambulatorio medico per visita specilistica, etc.
Quindi per motivi di contesto, il gruppo era da ritenersi aperto anche perchè cambiavano periodicamente le pazienti, lasciando il reparto dopo il periodo di ricovero.
La tecnica che ho utilizzato è la psicoterapia ericksoniana, che si avvale anche dell’uso dell’ipnosi.
La dimensione di gruppo si è rivelata molto importante per queste ragazze, poiché ha permesso loro di creare coesione, facilitando gli scambi comunicativi, potendosi confrontare e soprattutto imparando a negoziare.
La tipologia del disturbo da cui erano affette, comportava spesso una impulsività autodistruttiva, che si esprimeva con una incapacità di mantenere un giusto “controllo”. Si passava infatti da un ipercontrollo, il rifiuto del cibo ad esempio, a una totale mancanza di controllo dove erano presenti abbuffatte reiterate con condotte di compensazione (vomito o lassativi o iper-attività motoria). Pertanto restituirgli la capacità negoziale significava insegnargli a trovare un equilibrio nella gestione innanzitutto del cibo, che poi sappiamo essere metafora dei vissuti interni e degli agiti conseguenti. Non solo infatti l’impulsità e il discontrollo si esprimono con abbuffatte, ma anche con condotte autolesive, come tagliarsi o cleptomania, attività sessuali compulsive e rischiose, acquisti compulsivi, tutti comportamenti pericolosi.
Ho trovato naturalmente anche comorbidità con patologie psichiatriche, che vanno da disturbi di personalità a stati dissociativi, a disturbi dell’umore.
La terapia che è stata fatta riguarda appunto sia una somministrazione farmacologica specifica, sia un lavoro di psicoterapia, per quanto le condizioni di contesto pubblico ospedaliero lo consentissero.
Tra gli obiettivi che mi sono posta per il lavoro di gruppo, ci sono quelli di restituire alle pazienti la loro autostima, aiutarle a riscoprire il senso di sé, consentirgli di mettere in atto il processo di individuazione nella dimensione psico-somatica propria di ciascuno di noi.
La caratteristica del gruppo era il gioco: nella durata di un’ora e mezza circa, il conduttore o anche le pazienti stesse ormai, propone un gioco. Ad esempio alcuni possono essere giochi a squadre che riguardavano direttamente la dimensione corporea: il gioco dei mimi; altri si fanno con le parole: il gioco della bottiglia o il paroliere; altri sono giochi di intuito (indovinare un personaggio da pochi elementi) o di logica. Recentemente avevo introdotto i mandala da colorare, con un sottofondo di musica tibetana, molto apprezzato. Abbiamo fatto degli incontri di yoga e delle sedute di ipnosi con funzione di rilassamento e accostamento agli stati interiori, nel tentativo di ristabilire un equilibrio mente-corpo.
Ho utilizzato molto anche le storie, metodo tipicamente ericksoniano. Raccontavo loro una storia che poi il gruppo commentava. Si sono creati così scambi, confronti, contrasti e coesioni. Gli ha consentito di riflettere, su loro stesse, la loro malattia. Si sono poste domande, interrogativi e sono sorti dubbi.
Gli è piaciuto tanto che alcune hanno comprato i libri da cui prendevo le storie o le “vecchie” le hanno raccontate alle nuove arrivate.
Hanno iniziato a collaborare tra loro e a fare giochi anche fuori lo spazio del gruppo, a disegnare oggetti e creare decoupage.
Se è capitato che qualcuna portasse un suo problema, ne parlava nel gruppo e il gruppo rispondeva, ognuna portando la sua idea, il suo modo di vedere, i suoi consigli o i rimproveri.
Venivano stimolate così le loro capacità e le risorse personali per aiutarle a condividere e a riflettere criticamente.
 
Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione(Platone).
 
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